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Eva Germani, cresciuta in un paesino dei monti sibillini: cosa sognava di fare da grande quando camminava in quei vicoli e chi è oggi Eva Germani?
Ho sognato molte cose. A sei anni, quando camminavo in quei vicoli sognavo di fare il muratore! Mettevo la sveglia presto al mattino, facevo colazione velocemente, come se dovessi iniziare a lavorare ed andavo ad aiutare i muratori, così, per scherzo, per gioco.
Loro mi davano una pala ed io impastavo la calce. C'erano ancora i muratori col cappellino di carta. Insomma, sogni molto pratici e, a me, quella del muratore, sembrava una buona idea! Devo dire che sono stata sempre poco lineare sui sogni. Ho attraversato davvero molte fasi, quindi, non saprei dare una risposta a chi è oggi Eva Germani.
Vivo molto alla giornata. Lascio che gli eventi scorrano e colgo le opportunità che si presentano sul percorso. E se in questa miriade di opportunità trovo un impulso positivo o mi innamoro di un progetto, mi butto a capofitto e lo trasformo in qualcosa di nuovo o allargo la visione su lavori che sto già facendo. Mi muovo, cioè, in maniera duttile.
Con il tuo passato da restauratrice hai avuto modo di confrontarti con opere pittoriche importanti. Come è avvenuto il passaggio dal restauro all’arte pittorica e come le due arti si fondono?
Ho avuto la fortuna di lavorare su opere molto importanti ma quello che mi ha sempre affascinato era la bellezza collaterale all'arte: le pareti scrostate intorno al dipinto o intorno all'altare, i gessi, gli ori. È vero, il focus è l’opera ma c’è, tutto intorno, quello che lo incornicia fatto di materiali, colori, screpolature che io, non avrei toccato. Sono un po’ sorda al richiamo dell’ordine dell’estetica che, invece, il restauro richiede. Il passaggio all’arte pittorica è avvenuto proprio perché il restauro è un lavoro molto tecnico - una volta risolto il problema e rimesso in salute il dipinto, il lavoro è finito. E poi, nel restauro è vietato sbagliare. Invece, a me interessava proprio la parte dell'errore: la parte di poter creare e poter anche distruggere. A me piace l’idea di fare un dipinto e, se non mi piace, la possibilità di accartocciarlo e buttarlo. Uso molto materiali come la calce sulla carta che necessariamente si sgretola, si screpola, si scrosta. Mi piace la sensazione di caducità, di transitorietà delle cose.
L'espressione della mia pittura è diventata, quindi, l’antitesi di quello che avevo sempre fatto: sistemare e rimettere in salute. A me affascina la fragilità, la poesia, la delicatezza delle tracce estetiche intorno all’opera.
Il tuo incontro con Wall&decò
Quello di Wall&decò è un approccio trasversale, che lascia grande spazio alla creatività. È un’azienda con un tessuto umano e relazionale molto bello. Tutte le grafiche nascono dal confronto tra me e l’ufficio stile e, alle volte partiamo da un elemento grafico e lo trasformiamo completamente.
Mi è particolarmente caro il soggetto You Too, dell’ultima collezione: la vegetazione, rispetto ai miei lavori precedenti, è più rarefatta e astratta. I colori stessi appartengono meno alle tinte naturali.
Un racconto poco dettagliato, ma che colloquia maggiormente con l'osservatore, che quindi subentra e vi aggiunge qualcosa del proprio immaginario.
Quali sono le briciole che lasci sui tuoi wallpaper e che servono a ricomporre il tuo progetto?
Semino tracce nascoste un po' in tutti i miei lavori: nei materiali, nella struttura estetica oppure in un elemento che torna e si ripete. Non ho la pretesa di lanciare messaggi particolari, se non trasmettere un concetto estetico che è di per sé un messaggio.
I gioielli, per esempio, sono legati al mio immaginario adolescenziale e continuano ad attrarmi ad affascinarmi nonostante non li indossi - così come le pietre con le loro sfumature e i loro tagli di luce. Sono attratta dall’aspetto scultoreo più che da quello pittorico, dal senso della tridimensionalità, dalle volumetrie.
Hai la possibilità di rivestire la parete di una stanza del tuo artista cult (arte, cinema, design, letteratura, musica, ecc)? Chi è l’artista e perché? quale stanza rivestiresti? Con quale carta?
Direi Battiato. Lo vedrei seduto nella natura rarefatta e rischiarato dall'alba al neon di You Too, immerso in questo spazio/ non spazio, in sospensione temporale che dialoga con la sua metafisica sospesa tra il reale e l’astratto.
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